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Videochistoscopio n. 1
Videochistoscopio
Videochistoscopio n. 2
Videochistoscopio n. 3
Videochistoscopio n. 4
La possibilità di riprodurre il movimento ha affascinato e incuriosito artisti e scienziati molto tempo prima della nascita del cinema. Nell'Ottocento iniziano a essere costruiti dispositivi ottici che cercano di produrre il movimento di semplici figure, in modo che con una determinata velocità venga simulata la percezione del movimento da parte del sistema occhio-cervello.
Queste sperimentazioni appartengono al periodo cosiddetto del "precinema".

Il
taumatropio, lo zootropio, il fenachistoscopio, sono alcune di queste macchine di precinema.
In particolare, il fenachistoscopio, inventato da Joseph Plateau nel 1832, è costituito da un disco in cui sono disegnate, lungo la direzione radiale, un certo numero di figure (8, 10, 12) che sviluppano un frammento di movimento (oggi diremmo alcuni fotogrammi).
La rotazione a un'opportuna velocità costante di questo disco e l'osservazione attraverso una fessura dello stesso disco proiettato in uno specchio, rendono nell'osservatore l'illusione che la figura sia appunto in movimento.
La scena è ripetuta ciclicamente, per questo motivo i soggetti svolgono azioni naturalmente ripetitive (es. battere un martello, suonare un violoncello, cavalli al galoppo...), in modo che il movimento vero e proprio possa durare pochi secondi, ma la ripetizione sia tale da dare l'impressione di una continuità nell'azione (una rotazione di tutte le figure dura circa un secondo, considerando 10-12 figure nel disco e una velocità quindi di 10-12 figure/fotogrammi al secondo, tale rotazione è sufficiente per fornire l'illusione del movimento).
Naturalmente di illusione si tratta, dato che è possibile fermare la rotazione e osservare contemporaneamente tutte le figure del disco. Per questo, dal fenachistiscopio all'odierno cinema (dalle prime pellicole, al digitale, al 3D, ecc.) non è sostanzialmente cambiato nulla, si tratta comunque sempre di un'illusione.
Anzi, di riproduzione di un'illusione della stessa percezione: alcune teorie scientifiche sostengono che il sistema occhio-cervello registra/permette la permanenza contemporanea di 6-7 istantanee di una scena in movimento (Julian Barbour, La fine del tempo). In realtà, secondo queste teorie, tutti i "fotogrammi" di un'azione nella vita reale sono compresenti (anzi: tutti i "fotogrammi" di tutti gli accadimenti del mondo sarebbero compresenti istantaneamente!).

Il lavoro Videochistoscopio cerca di evidenziare queste caratteristiche del movimento in rapporto al tempo, adoperando proprio alcuni fenachistoscopi.
Le immagini di un disco sono presentate e movimentate prima singolarmente e poi nell'interezza del disco stesso, con velocità variabili, in maniera da evidenziare i punti di passaggio tra visione statica e visione dinamica. Ovvero, iniziando con velocità in cui si percepisce l'"illusione" del movimento (es. 10/12 fot./sec.); producendo poi un aumento di tale velocità fino al momento in cui i singoli fotogrammi diventano indistinguibili; producendo, infine, rallentamenti fino al punto in cui l'illusione del movimento sparisce e la scena torna a essere quello che in realtà è: compresenza di immagini singole in una successione sequenziale.
Ma anche questa sequenzialità, se viene alterata, mette in discussione la "certezza" del movimento apparente: verso la fine di ciascun filmato (sia nel dettaglio delle figure, sia nell'immagine complessiva del disco) la successione delle figure viene alterata, scambiando e mescolando i fotogrammi. In questo modo la successione diventa casuale, e non è più possibile riconoscervi traccia di un movimento naturale.

Riferimenti:

Julian Barbour, La fine del tempo, 2005.

Museo del Precinema. Collezione Minici-Zotti, Padova.